8 Marzo 2019
Blog / Metodiche di Allenamento / Mobilità e Stretching

Lo stretching: come, quando e perché.

“Faccio un po’ di stretching così domani ho meno DOMS”.

“Ma divento grosso anche se faccio stretching?”.

“Mi è stato detto di fare stretching ad inizio allenamento”- “a me invece a metà, tra le serie” - “Assolutamente no, solo alla fine!”.

“Lo stretching serve solo a chi vuole fare le spaccate”.

“Ma quanto devo stare in questa posizione?”

È evidente quale sia l’argomento di questo articolo. Mettiamo in ordine le idee sulla questione stretching, rispondiamo a qualche possibile dubbio, e proviamo a dare qualche spunto di riflessione, nonché consigliare qualche prova da effettuare in prima persona.

Iniziamo dalle basi: cos’è lo stretching? Il termine deriva dal verbo “to stretch”, che significa “allungare”, indicando in ambito sportivo tutte quelle esercitazioni che mirano all’allungamento muscolare. Ecco il primo punto importante: se parliamo di stretching, dobbiamo intendere esercizi con l’obiettivo, come scritto sopra, di allungare il ventre del muscolo, aumentando quindi la flessibilità. Ciononostante, essendo tali esercizi dei movimenti, non possiamo non tenere conto di tutte le strutture coinvolte in questi come in qualsiasi movimento: ossa, articolazioni, legamenti, muscoli, tendini.

Perché? Semplicemente perché se non sappiamo com’è fatta anatomicamente l’area che allunghiamo, rischiamo di perdere tempo in posizioni non favorevoli all’allungamento, o addirittura creare danni: in fondo all’articolo troverete due semplici dimostrazioni.

Vi sono molte metodologie per lo stretching, raggruppabili in quattro principali tipologie di lavoro: attivo, passivo, statico e dinamico. Combinandole, si ottengono diverse tecniche:

Stretching statico passivo: tipologia di allungamento che prevede il raggiungimento della maggior ampiezza possibile per poi mantenerla in modo passivo; può essere assistito da un compagno. Da solo non garantisce grandi risultati ed è il tipo di stretching che richiede di mantenere la posizione più a lungo.

Stretching statico attivo: così come nel passivo, è necessario raggiungere la massima ampiezza per poi contrarre isometricamente gli antagonisti (muscoli antagonisti a quelli target dell’allungamento), andando ad aumentare la tensione. Ottimo da alternare al passivo in quanto permette di generare forza in angoli estremi.

Stretching balistico: rientrano in questa categoria le esercitazioni di allungamento caratterizzate da slanci, scatti e rimbalzi. Ha lo svantaggio di poter causare l’attivazione del riflesso da stiramento, il quale porta alla contrazione del muscolo target (riflesso che, in seguito ad un forte allungamento di un muscolo, tramite i fusi neuromuscolari invia un segnale che porta alla contrazione del muscolo stesso, allo scopo di proteggere la struttura).

Stretching dinamico: categoria composta da tutti i movimenti a grande ampiezza compiuti senza slanci o rimbalzi. Riprende il concetto di allungamento dinamico dello stretching balistico ma risolve il problema del riflesso da stiramento basandosi su movimenti controllati.

PNF (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation): tecnica avanzata di stretching che consiste nell’alternanza di contrazione e rilassamento dei muscoli; agendo sul sistema nervoso tramite la stimolazione dell’Organo Tendineo del Golgi, permette grandi guadagni di flessibilità in pochissimo tempo (pochi minuti); proprio per questo necessità di una programmazione accurata e non è adatto a soggetti con forti limitazioni articolari. Sostanzialmente, si basa su un’alternanza di fase di rilassamento, seguita da una contrazione muscolare isometrica submassimale, la quale precede una nuova fase di allungamento, teoricamente in una posizione più avanzata della prima. Esistono diversi moduli in base al muscolo che verrà contratto: agonista, antagonista o entrambi alternati.

Negli anni, le opinioni sullo stretching e sul suo inserimento in una seduta di allenamento sono più volte cambiate sulla base dei risultati di ogni nuova serie di studi.

La regola di base è preferire lo stretching dinamico nel riscaldamento e quello statico a fine allenamento. La motivazione sta nel fatto che le esercitazioni dinamiche sembrano ridurre l’incidenza di infortuni acuti, mentre lo stretching statico favorisce il conservarsi di equilibri muscolari, evitando scompensi e sovraccarichi nel lungo periodo.

Rimane incerto l’effetto dello stretching statico precedente la seduta di allenamento. Secondo Boyle, lo stretching statico preceduto da 5-10 minuti di foam rolling ha effetti maggiori sul muscolo rispetto alla stessa procedura eseguita a fine allenamento: l’autore argomenta sostenendo che il muscolo freddo possa subire e mantenere nel tempo deformazioni plastiche maggiori rispetto al muscolo caldo che tornerebbe presto alla sua lunghezza normale.

Abbiamo parlato di equilibri muscolari, scompensi e sovraccarichi nel lungo periodo, ma cosa si intende? Ogni movimento porta con sé delle conseguenze, sopratutto se ripetuto molte volte o per molto tempo: stare seduto a lungo, tenere una posizione rilassata ipercifotizzando il dorso, eseguire gesti sport-specifici, sono tutte situazioni che tendono a creare degli squilibri muscolari i quali porteranno a dolori o maggiori rischi di infortunio. Ecco la vera utilità dello stretching: non tanto raggiungere ampiezze di movimento eccessive, bensì compensare squilibri potenzialmente dannosi e riequilibrare il corpo.

La pratica dello stretching in tal senso, dovrebbe quindi andare oltre il semplice “allungare un po’” a fine allenamento: affinché ci siano effetti concreti, è necessario entrare nell’ottica di utilizzare lo stretching per esplorare nuovi angoli di movimento nei quali successivamente generare forza. L’aumento della forza in angoli ampi o sfavorevoli, è ciò che fa la differenza tra essere semplicemente elastici e metterci un piede dietro la testa, e stare seduti a gambe tese con la schiena perfettamente dritta (Casolo, 2002). Questo tipo di mobilità si raggiunge tramite la pratica di esercizi statici e dinamici attivi, i quali causano adattamenti del sistema muscolare e nervoso, motivo per cui è bene preferire lo stretching attivo a quello passivo, o quantomeno alternarli.

Boyle, in “New Functional Training for Sports”, elenca le regole dello stretching statico:

  • “Positioning is everything”. È fondamentale assumere le giuste posizioni per essere efficaci.
  • Un buono stretching è scomodo ma non doloroso, bisogna imparare a conoscere la differenza tra queste due sensazioni.
  • Usare e mischiare le diverse tecniche: passivo, contrazioni dell’agonista, dell’antagonista.
  • Sfruttare il peso corporeo come assistenza.
  • Allungare tutte le aree senza soffermarsi solo su quelle più semplici e comode per noi.

L’altra grande questione riguardante lo stretching è il tempo di mantenimento della posizione. Recenti studi hanno confermato l’utilità del controllo del respiro durante lo stretching. È quindi consigliabile contare i respiri durante l’allungamento, anziché i secondi. La respirazione corretta prevede un’inspirazione profonda dal naso, seguita da una lenta espirazione dalla bocca, a labbra semichiuse. Durante l’espirazione, è possibile aumentare l’allungamento, per poi mantenere la posizione durante l’inspirazione; questo perché l’elettromiografia ha dimostrato una fase di rilassamento generale durante l’espirazione, e una di leggera contrazione generale durante l’inspirazione (Kit Laughlin).

Questi principi sono generali, ciò significa che non è detto che siano applicabili ad ogni soggetto, ad ogni attività, ad ogni seduta di allenamento. È sempre necessario valutare il singolo caso e programmare di conseguenza la pratica dello stretching.

PROVE PRATICHE

Vedremo ora due esercizi con lo scopo di chiarire i concetti espressi nell’articolo: l’importanza dell’assumere la posizione corretta durante l’allungamento e la differenza tra stretching passivo e attivo.

Stretching del quadricipite nella posizione classica: fletto la gamba sulla coscia, portando il tallone verso il gluteo, prendo il piede con la mano omolaterale e mantengo la posizione; ora provate ad apportare queste modifiche: retrovertete il bacino; raddrizzate la schiena nel caso in cui questa sia flessa lateralmente; portate il ginocchio precisamente sotto il bacino, quasi a contatto con quello della gamba tesa; mantenendo tutti questi accorgimenti, tirate il piede verso dietro-alto. Differenze rispetto alla posizione solita nonché scorretta?

Stretching in flessione del braccio (flessione del braccio: portare le braccia verso avanti-alto): coricatevi in posizione prona (con la pancia a terra) con le braccia tese verso una spalliera; per prima cosa, lasciando il petto a terra, portate le mani sul primo piolo della spalliera; se non è abbastanza, portatele sul secondo, rimanete in posizione con le braccia tese, respirate e percepite l’allugamento. Dopodiché infilate le mani sotto il primo piolo - o sotto il secondo se è il caso -, petto a terra e braccia tese e spingete con le mani (i palmi si guardano) contro il piolo che sarà sopra le mani. Cos’abbiamo appena fatto? Abbiamo allungato passivamente numerosi muscoli della - per farla breve - “spalla”, in seguito abbiamo creato una situazione in cui abbiamo potuto generare forza in quel range di movimento precedentemente allungato. Questo ci permette non solo di stretchare le strutture ma al contempo di rafforzarle nei nuovi angoli di movimento.

Speriamo con questo articolo di aver chiarito potenziali dubbi sulla teoria dello stretching e aver fornito qualche spunto pratico applicabile sin da subito nelle vostre sedute di allenamento. Un ultimo suggerimento: provare, sperimentare e valutare le sensazioni derivanti dal nostro corpo è molto spesso un ottimo metodo per imparare a conoscere i  nostri limiti e punti di forza, così da poter in seguito rendere il lavoro più mirato!